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Partendo dal problema
pratico di come i fanciulli imparino a scuola,
ci si interroga sulla natura dell'apprendimento.
Questo problema squisitamente pedagogico guida
la ricerca. Nel percorso si arriva ad affermazioni
bizzarre, ce ne scusiamo, invitando a non prendere
alla lettera tali formulazioni e a cogliere
il senso sottile nell'ampiezza che si vuole
mantenere proprio attraverso l'ambiguità
delle espressioni. Si vuole dimostrare che lo
stile dell'insegnamento ha maggior peso del
metodo. In ciò si ipotizza che la pedofilia
sia la componente indispensabile della buona
riuscita della relazione didattica, si ipotizza
anche che gli insegnanti siano seduttori di
professione e che essi non insegnino perché
non controllano le ragioni profonde dell' apprendimento,
ma che i bambini imparino da soli, come a parlare.
La base dell'insegnamento diviene lo stile pedagogico,
che fa leva sul desiderio di conoscenza. Nella
relazione pedagogica, come in quella amorosa,
c'è anche la sofferenza, la frustrazione
diviene il motore di crescita culturale. Lo
stile pedagogico è elemento intrinseco
dell'insegnante, ma è migliorabile con
l'esperienza di vita e la cultura. Si auspica
in conclusione una solida formazione culturale
degli insegnanti. |
La pedagogia dell'università soffre di
accademismo, perché è distaccata
dalla pratica della scuola. Se tratta problemi
pratici abbandona il suo spazio filosofico,
ma conserva della filosofia dello spirito le
categorie, oppure si affianca ai modi della
filosofia positivista, del praticismo, del fare
scientifico obiettivo, legati agli ideali di
progresso, come la pedagogia marxista, che si
appoggia al positivismo didattico. Incapace
di reggersi in un proprio spazio, la pedagogia
non è in grado di rispondere al nostro
problema pratico. Si dibatte tra la filosofia,
la sociologia, la psicologia, il metodismo pragmatista.
Non trovando una direzione autonoma, resta arretrata
per il vocabolario povero, il linguaggio nebuloso,
il disordine teorico. La ricerca didattica si
è indirizzata verso la definizione di
metodologie scientifiche, che riducano la complessità
della realtà ad un piano di indagine
univoco. Sotto l'apparenza di una proposta nuova
ed adeguata, spesso si nasconde la riduzione
della realtà ad una lettura che l'impoverisce
e la semplifica. Procedimento di ispirazione
positivista che di questa filosofia dell'ottimismo
e del cambiamento graduale contiene le intenzioni.
Come il volere sistematicamente eliminare l'eventualità
di un imprevisto non programmato, che farebbe
saltare questa progressione premeditata. Volontà
di cancellazione di qualsiasi caso incidentale,
che gettasse l'insegnante nell'imbarazzo di
un'evidenza non calcolata. |
Il sapere frammentato
dei bambini, fatto di eroi televisivi, di superman
a fumetti, di ritornelli, di canzonette, di
slogans pubblicitari, va rispettato e utilizzato
in quanto costruzione autonoma. Un progetto
didattico non può non essere elastico.
Nella frammentarietà del sapere saranno
i bambini a trovare i nessi di organizzazione,
secondo la loro rappresentazione del mondo.
Non si può pretendere che la nostra logica
corrisponda alla loro. Nella pratica ci si accorge
che di un discorso concatenato ricordano solo
qualche episodio sconnesso. Qualsiasi metodo,
per la sua rigidità, sarebbe incapace
di tenere conto della realtà infantile.
Colui che pensa il metodo prevede in modo esaustivo
tutti i processi per la realizzazione del progetto.
Sappiamo che Freinet al metodo contrappone le
tecniche, l'elasticità di applicazione
delle quali permette l'utilizzazione e l'adattabilità
alle situazioni specifiche. Anche Ciari usa
tecniche anziché metodo, e scopre che
i valori si situano al loro interno. Le tecniche
non sono più un mezzo per arrivare ai
valori ideali. Essi sono già all'interno
delle tecniche e non sono più il fine
da raggiungere. Cambia il rapporto valori-tecniche
« che prima dell'articolo di Bruno Ciari
del 1955 su C.E., era considerato secondo lo
schema fini-mezzi » '. Poniamo l'accento
su una specie di « attitudine »,
una sorta di « talento », che indipendentemente |
dalle tecniche, o attraverso esse, agisce nella
realizzazione pedagogica. Chiamiamo «
stile », la capacità precipua dell'insegnante
di catturare l'allievo e da questi essere catturato
nella realizzazione pedagogica, come nella paideia
greca, rapporto intimo di iniziazione. Lo stile
del maestro è il fondamento dell'apprendimento.
Ad esso si aggancia il desiderio di sapere,
senza il quale l'apprendimento è faticoso
e scadente anche se le tecniche paiono avanzate.
Lo stile consiste nel mettersi in gioco come
persona, non come ruolo. I bambini esigono l'intervento
della persona. Lo stile esula per la sua ineffabilità
dalla spiegazione metodologica. Non è
descrivibile l'ampia complessità di una
somma di implicazioni fisiche, estetiche, mimiche
di linguaggio. Ci limitiamo ad osservare ciò
che avviene nella classe attorno alla figura
seducénte dell'insegnante. La capacità
di usare le tecniche nella loro ampiezza di
applicazione è nello stile dell'insegnante.
Al contrario, ottimi impianti metodologici vengono
sviliti per la scarsa rilevanza personale della
figura fisica-emotiva dell'insegnante. Come
possono verificarsi effetti di desiderio di
apprendimento? L'apprendimento è conseguenza
immancabile della voglia di imparare. L'insegnante
non deve puntare subito sull'effetto, che è
l'apprendimento, dimenticando ciò che
lo causa: il desiderio, che diventa desiderio
di apprendere. La metodologia didattica punta
direttamente sull'apprendimento. Dolcifica la
pillola, ma il desiderio di sapere può
tenerlo in piedi solo l'insegnante persona,
al di là della tecnica didattica con
la sua presenza allettante. |
La pedagogia nacque e si sviluppò sotto
l'insegna della pederastia. Presso i Dori essa
era istituzionale. Ogni ragazzo di condizione
libera veniva scelto da un maestro amante che
lo rapiva simbolicamente alla famiglia per il
tempo necessario alla sua iniziazione culturale.
Ciò si fondava sul fatto che l'insegnante
era detentore di tutto il sapere. Egli poteva
completamente consumare il rapporto con l'allievo,
perché poteva fornire in cambio e senza
frode la completa cultura del suo tempo. Non
c'era inganno né disparità: una
completezza culturale contro una completezza
amorosa. L'articolarsi e l'approfondirsi del
sapere muta i termini del confronto educativo
e rende quindi la persona del pedagogo-iniziatore
non più corrispondente alla nuova esigenza
culturale. Socrate muta i connotati del confronto
educativo; non potendo più corrispondere
ad un sapere troppo allargatosi, si mostra non
più detentore, ma tramite di un sapere
che lo scavalca. Solo fuggendo una soddisfazione
che sarebbe fraudolenta, stimola l'allievo all'inseguimento
dell'obiettivo culturale. Socrate rifiutandosi
di passare all'atto amoroso, diviene il padre
fondatore e garante del discorso. Se avesse
per assurdo accettato le proposte di Alcibiade
il ruolo del pedagogo si sarebbe perso. Questa
pedagogia sarà la nuova iniziazione. |
Il dubbio diviene l'unica
certezza, non più volontà di trasmettere
una certezza culturale che non si ha, che non
c'è. Non la rassicurante protezione che
risponde da una cattedra infallibile. Lo spazio
rimane aperto e l'alunno deve riempirlo, per
il disorientamento e la certezza di una soluzione
mancata. Violenza del pensiero che si esercita
su se stesso per costringersi a trovare una
soluzione che ponga fine all'inquietudine. Il
maestro non appiana i contrasti, mostra che
non esiste un unico punto di vista sulle cose,
ma che queste mutano con il mutare dei punti
di vista. La sua rilevanza fisica ed emotiva
ha maggior peso del suo impegno professionale,
per quanto auspicabile. La relazione pedagogica
si aggancia alle immagini che la persona dell'insegnante
evoca negli allievi. La loro disponibilità
a corrispondere alla relazione pedagogica è
tanto maggiore quanto più è profonda
questa relazione. Alcuni sono in grado di stabilire
ottime relazioni indipendentemente dalla volontà,
dalla metodologia, dalla preparazione tecnica.
Il ruolo dell'insegnante è seduttorio
indipendentemente dalle tecniche, dai valori,
dagli obiettivi e dai contenuti. Quanto più
questi affascina, tanto più c'è
accrescimento morale ed intellettuale negli
allievi. Il processo educativo si fonda sull'adesione
o sul rifiuto della proposta fisica di linguaggio
del maestro. In qualsiasi modo i bambini non
restano indifferenti alle proposte seduttorie.
Il maestro è, in quanto adulto, seducente.
La sua capacità sta nel fissare la fascinazione
in un percorso pedagogico positivo. La seduzione
è categoria didattica necessaria e sufficiente.
La « repressione » è un aspetto
negativo della seduzione. Un modo di sedurre
deciso, scoperto, quando le blandizie non bastano
più. Preferiamo « pressione »
che privo di prefisso e di senso deteriore meglio
si adatta a quanto avviene a scuola. In altri
anni la scuola veniva pensata repressiva, indipendentemente
dalle forme di convincimento che essa esercitava.
Era anzi più repressiva quanto più
sottilmente agiva, con forme mistificate. Le
forme chiaramente repressive, proprio in quanto
esplicite, lasciano spazio allo scontro, o almeno
alla consapevolezza dell'esercizio del potere. |
La (re)pressione è la decisione nella
proposizione delle motivazioni pedagogiche,
platonicamente amorose. Interviene allorché
il corteggiamento positivo della seduzione pedagogica
non ottiene la risposta attesa. |
L'apprendimento non avviene su base positiva.
È per sostituire l'assenza angosciosa
della madre che il bambino impara a parlare.
La soddisfazione acquieta il desiderio: «
So già ». |
Produce dogmatismo. Socrate non soddisfa Alcibiade.
L'allievo trova nell'insegnante la spinta a
riproporre la richiesta di sapere. L'insegnante
è il tramite di quella soddisfazione
culturale che non dovrebbe mai avere luogo,
ma demandarsi al futuro. La frustrazione e la
soddisfazione cambiano le loro valenze. La soddisfazione
diventa negativa e 1i frustrazione diventa didatticamente
efficace, quanto maggiore è l'abilità
dell'insegnante a rimandare a domani l'impossibile
appuntamento, per mantenere vivo il desiderio
di sapere. |
Evitare che i bambini prendano atto del negativo
non è farli vivere felici, è solo
evitare che pensino di non esserlo. In questo
caso misconoscono la sofferenza, che d'altra
parte sopportano dal momento della nascita.
Questo comporta una falsificazione ed una condanna.
I bambini sopportano la sofferenza, ma non si
danno loro gli strumenti per controllarla. Soffrono
quindi maggiormente, l'intento di preservarli
dal dolore sortisce l'effetto contrario. Bettelheim
sostiene che le immagini spaventose delle fiabe
hanno la funzione di attualizzare i fantasmi
dell'inconscio nella realtà con la loro
descrizione. La madre apprensiva vuole impedire
al figlio di sperimentare i disagi. Ella pone
sé come tramite tra il mondo esterno
e lui, evitandogli l'esperienza diretta col
dolore. Il piccolo « viziato » però,
lo sperimenta comunque nelle situazioni banali,
con non comprensibile insopportabilità.
Incapace di dare un nome al dolore, di controllarlo
razionalmente, il bambino viziato e capriccioso
si abbandona alla disperazione per futili motivi,
i quali sono per lui causa di angoscia. Soffre
e non impara. Non proponiamo di far soffrire
i bambini, ma di permettere loro di imparare
a soffrire. Imparare a soffrire meno, cioè
imparare. Non evitiamo loro a scuola il disagio
di un rapporto che comunque causa gioie e sofferenze.
Non ci riusciremmo, saremmo causa del loro infantilismo:
bamboleggiamenti, parole storpiate, vocine in
falsetto. Il prodotto di un insegnante che non
frustra è il disinteressato, il conformista,
il non coinvolto. |
Motivazioni erotiche nobilitano ogni gesto del
maestro avvolto in una dimensione fiabata. L'allievo
è avviluppato nelle spire del suo discorso.
Ciò richiede il sacrificio della piccola
vittima. L'imeneo si consuma con la pratica
iniziatica della scolarizzazione. Il piccolo
lascia la famiglia e nel tempio della scuola
si attua la sua consapevole immolazione compiacente,
sotto il sacerdozio ammiccante dell'insegnante,
sull'altare della comprensione della |
realtà, che noi chiamiamo cultura. Sacrificio
. inevitabile che rimanda ad un sacrificio precedente
ben più doloroso: quello della castrazione
edipica e di accesso dell'infante al linguaggio. |
« Ciari, l'innovatore,
non si perita ad allinearsi a tanti educatori
del passato nel sostenere che bisogna amare
i ragazzi (di un amore che non esclude la fermezza
paterna e l'esercizio dell'autorità)
più delle tecniche, degli strumenti,
degli esperimenti. » '. All'espressione
« amore per i fanciulli » preferiamo
il termine « pedofilia », che richiama
la pederastia greca e pur avendo un'accezione
meno turpe, esplicita l'aspetto della perversione.
La stessa qualità veniva una volta indicata
con « vocazione ». Lo stile dell'insegnante
si fonda sul suo grado di perversione. Si considerano
perversi quei luoghi ove si radica un'intensa
concentrazione erotica. |
Il linguaggio è altamente perverso poiché
i suoni, le lettere, le parole, sono carichi
di erotismo. I primi elementi ripetuti «
ma » e « pa » sono impiantati
sull'attività di suzione (taglio delle
labbra e denti). Gli elementi del linguaggio
quindi ereditano il piacere della suzione, che
rimanda all'erotico. Se il linguaggio è
perverso, la cultura è perversa, luogo
di erotismo. La relazione pedagogica è
perversa. La scuola come le istituzioni convittuali
(caserme, collegi, carceri, conventi, ecc.)
è essa stessa un luogo in cui la perversione
aleggia e viene consumata, anche se non materialmente.
Gli insegnanti, anche se non lo sanno, per professione
circuiscono gli allievi. Non ci hanno mai pensato
perché la pedagogia non ha dovutamente
posto l'accento sulla relazione tra insegnante
e allievo. |
Da qui senza pudore si dovrebbe partire. Non
c'è niente di male nella pedagogia platonica,
che è pederastia platonica, se non il
tacere. La tensione « amorosa »
è invece spostata sugli aspetti linguistici
e culturali, dai quali per altro prende le mosse.
Socrate non rifiuta ad Alcibiade il sesso. Fa
della filosofia. Alla domanda d'amore l'allievo
ottiene una risposta sul piano simbolico-culturale
che tiene in piedi l'inquietudine del desiderio,
desiderio di penetrazione culturale. |
Che cosa insegna il maestro? Quanto meno a leggere
e a scrivere. Ma è proprio lui che insegna?
Egli nutre questa illusione per mantenere ai
propri stessi occhi una funzione che è
diversa da quella che in realtà svolge.
L'insegnante avverte chiaramente che non è
lui che insegna, ma che sono i bambini che imparano.
Di nuovo non ci pensa, evita di prendere in
considerazione: de-nega. L'illusione della possibilità
di un intervento che influisca sul tragitto
scolastico, dà al maestro la certezza
del suo operare e del suo riconoscimento. Attraverso
la rassicurazione del suo operato, ottiene riscontro
di essere qualcuno per qualcuno. Quale grande
soddisfazione moltiplicata per il numero degli
alunni, vedere realizzati i propri intenti.
Illusione di essere causa di un percorso di
cui è solo mezzo. Non è l'insegnante
che amministra le ragioni profonde dell'apprendimento.
Si creano condizioni nelle quali l'apprendimento
diviene impellenza indispensabile. L'insegnante
ne guida le tappe, ne controlla i ritmi, ne
fissa le ipotesi di sviluppo. Prepara il contesto
ove professionalmente sa che ha luogo l'apprendimento.
In questo senso c'entra maggiormente lo stile
del metodo. Lo stile della scuola, lo stile
del discorso pedagogico, lo stile dell'insegnante
costituiscono il contesto in cui nel bene o
nel male ha luogo l'evento indispensabile dell'apprendimento.
Gli alunni imparano attraverso in maestro, nel
senso che questi è presupposto dalla
relazione pedagogica, senza che diriga le ragioni
profonde dell'apprendimento. Gli insegnanti
si arrogano il merito dell'apprendimento coll'insegnamento.
Come i neonati imparano a parlare indipendentemente
dalla qualità dell'insegnamento della
madre, per l'angosciosa assenza di lei, la quale
viene sostituita con il simbolo « mamma
», che ha il potere di richiamare alla
mente l'immagine di lei, immagine che dà
sollievo all'angosciosa assenza; così
nella scuola i bambini imparano per l'inquietudine
di voler essere come ancora non sono, in quanto
infatti, in fans, in fase, incompleti. Il compito
del maestro è attirare su di sé
l'attenzione. Le implicazioni vanno al di là
del programma scolastico, sono di ordine personale,
emotivo, amoroso in senso platonico. L'argomento
non brilla di per sé, ma di luce riflessa
dalla persona fisica dell'insegnante. L'alunno
trova le motivazioni per lo sforzo di ampliamento
del proprio universo culturale nei cambiamenti
di tono, nelle carezze, nei piccoli ricatti,
nei risentimenti, nelle gratificazioni e nelle
frustrazioni dell'insegnante, che è tramite
istituzionale di passaggio al sapere. Egli rimanda
l'interesse suscitato dalla sua figura, risultato
della seduzione che esercita inconsapevolmente,
al percorso di apprendimento. Lo stile dell'insegnante
nell'interpretazione della .sceneggiata educativa
è la misura qualitativa e quantitativa
di passaggio dell'allievo alla cultura.. Non
il metodo, che logicamente viene dopo, ma lo
stile, complesso di espressioni mimiche, fisiche,
estetiche che costituiscono la personale maniera
dell'insegnante di stabilire contatti, di agganciare
canali di comunicazione, di provocare emozioni. |
Se è possibile
definire le tecniche di Ciari, il suo stile
non si presta ad una trasmissione scritta, per
la sottigliezza, esso è un fattore della
persona non amministrabile. Come il gusto estetico
si affina attraverso l'esperienza e la conoscenza
artistica, così lo stile migliora attraverso
la cultura e l'esperienza di vita. Per buone
che siano le tecniche didattiche, se i valori
che sonò intrinsechi dello stile di vita
dell'insegnante sono scadenti, come spesso accade,
altrettanto scadenti saranno i risultati pedagogici.
Insegnanti senza capacità possono diventare
ottimi attori della scena pedagogica; al contrario,
insegnanti tecnicamente preparati, possono essere
didatticamente scialbi, o peggio, pedagogicamente
negativi. |
È la pressione seduttoria
che agisce sulla volontà di sapere. Si
tratta di porre in questione la conoscenza come
desiderio di sapere. Come può l'insegnante
sollecitare il desiderio di sapere? Non ci si
deve occupare tecnicamente solamente di come
e cosa insegnare. Il problema dell'insegnamento
è far sì che vi sia della curiosità
della voglia di sapere. L'apprendimento in questo
caso c'è comunque, indipendentemente
dal metodo. |
Lo stile supporta il
desiderio culturale dell'allievo. D'altra parte
è giusto parlare di «svogliatezza»,
fermandosi però alla superficie del problema.
«Non ha voglia». Certo! Gli mancano
le motivazioni. L'apprendimento è facilitato
dalla compatibilità e dalla semplificazione
del sapere, ma rendere i programmi scolastici
quanto più digeribili è soluzione
parziale al problema della didattica. La svogliatezza
è dovuta al fatto che il sapere scolastico
non è investito emozionalmente, non fa
parte della realizzazione soggettuale dell'alunno.
La voglia non gli verrà senza una relazione
di tensione verso la scuola e il suo contesto.
Come può l'insegnante stimolare il desiderio
di sapere? Attraverso il suo stile, la sua persona
fisica tramite al culturale. Lo stile non può
essere amministrato come l'impegno professionale,
in quanto è articolato allo stile di
vita, alle aspirazioni, agli ideali dell'insegnante,
alla sua pedofilia. La conoscenza del mondo,
l'esperienza, la cultura affinano il modus vivendi,
migliorano lo stile di vita. In questa affermazione
ci pare di intravvedere una soluzione pratica
al nostro problema, che comunque resta aperto. |
La ricchezza interiore,
la sensibilità estetica, la partecipazione
agli avvenimenti storici del proprio periodo,
sono i motivi culturali che migliorano lo stile.
L'insegnante di stile è tentacolare.
Allarga attraverso la propria persona i flussi
della voglia di conoscere. Non li restringe
a sé, inducendo l'identificazione alla
propria onniscienza e infallibilità,
riduzione frequente della cultura a propria
immagine e somiglianza. E' tentacolare in quanto
mostra e propone un ventaglio di percorsi, di
problemi, di eventualità. |
Non è collegato ad un solo ambito di
proposizione, ma tentacolarmente a molti. La
delicata professione dell'insegnante presuppone
non interpretazioni univoche, ma molti tentacoli
che si appiglino alla pluralità della
realtà. È quindi necessario per
l'insegnamento oltre ad un bagaglio di conoscenze
specifiche della disciplina svolta, oltre ad
una buona preparazione tecnica, un'ampia e solida
formazione culturale, che sviluppi lo stile. |
Con ciò il problema resta aperto e viene
proposto alla riflessione. |
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