COME PROMUOVERE L'IMMAGINE DELL'ITALIA DI OGGI ALL'ESTERO

 
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La diffusione della cultura italiana

           

 

 

 
 

Massimo Maracci La Scuola Cultura Italiana diffonde la lingua e la cultura italiana all’estero; ha sede a Bologna in un’ala di questo stesso palazzo Pepoli. Qui insegniamo la lingua e organizziamo programmi per stranieri, visite, incontri e dibattiti su vari temi, secondo gli interessi specifici degli utenti stranieri per offrire un panorama ampio della vita e della cultura di oggi.

L’italiano non è una lingua veicolare, non possiamo competere con l’inglese, ma non è una lingua della memoria; al contrario, è una lingua vegeta, con una forte morfologia in grado di digerire, italianizzandoli, i numerosi prestiti inglesi di provenienza americana. La nostra storia e il dinamismo della nostra società ne legittimano la crescente richiesta nel mondo.

Chi impara l’italiano lo fa per il piacere, l’italiano è una lingua di cultura. Senza rinunciare alla sua funzione referenziale, rivendichiamo il tratto musicale della nostra lingua, quel tratto sensuale, femminile per cui corre frequentemente l’aneddoto secondo cui Carlo V dichiarava di parlare l’italiano alle donne, lo spagnolo per rivolgersi a Dio, il francese agli uomini e il tedesco al suo cavallo; non è irrispettoso per i tedeschi in quanto il cavallo dell’imperatore godeva di alta considerazione.

Carlo V fu incoronato a Bologna il 24 febbraio 1530. Nel corso di un anno tra il 1929 e il 1530 fu capitale della diplomazia, come oggi lo è della cultura. Potremmo dire con il Ministro Dini, che Carlo V definiva i popoli del suo impero assegnando a ciascuno di essi una virtù, proprio attraverso la lingua; nello stesso modo e per esperienza, rileviamo che c’è un posto dell’italiano nella molteplicità della funzione degli idiomi (1). Nell’ambito delle iniziative per Bologna città della cultura del 2000, a fianco di Cultura Italiana per l’insegnamento della lingua, è nato il Centro di Documentazione per Stranieri, volto a soddisfare le diverse e specifiche esigenze di professionisti, imprenditori e turisti stranieri che vogliono esplorare la situazione italiana nel proprio ambito di attività, attraverso contatti diretti e personali. Per esempio un architetto scandinavo troverebbe interessantissimo un cantiere di ristrutturazione a Bologna, se avesse la possibilità di accedervi: procedure, materiali e interventi tecnici sono esotici per lui che lavora di solito con il legno; oppure un operatore sociale in Italia per turismo trova, attraverso il Centro di documentazione per stranieri, la possibilità di visitare una struttura di sostegno psichiatrica, per rendersi conto personalmente dei pregi e dei difetti della Legge 180 che chiuse i manicomi. Si possono fare molti altri esempi: il medico può visitare un reparto ospedaliero, un tecnico un’azienda.

Il Centro di Documentazione per Stranieri e Cultura Italiana costituiscono quindi oggi, sul territorio nazionale, a Bologna, città esclusa dai circuiti turistici consueti, un’agenzia in grado di procacciare i contatti necessari a uno straniero per entrare nella realtà professionale locale. Si tratta di un luogo dove si intreccia una rete di lingua e cultura che mostra la vita italiana in tutte le sue temporalità, ossia nelle diverse espressioni storiche, ma soprattutto in quella odierna.

Questo convegno parte dalla constatazione che esiste nel mondo una consistente domanda di "italianità" ed esiste nel contempo un’ampia offerta potenziale di diversi ambiti che riguardano arti, mestieri, costumi, tradizioni, produzioni, vita sociale, che in senso antropologico diciamo cultura italiana. È difficile documentare questa cultura all’estero, tanto che, nel corso del convegno di Roma "La cultura italiana all’estero è politica" del luglio 1999 presso la Farnesina, organizzato dal Ministero degli Affari esteri, il prof. Dau del CNEL ha dichiarato che nelle biblioteche di Londra e di New York l’Italia si trova descritta solo come un paese degli anni cinquanta, non vi è dunque una rappresentazione dell’Italia di oggi. Ci si propone allora una riflessione su finalità, strumenti e canali di diffusione dell’immagine dell’Italia all’estero. Questo è un compito non facile perché, come sostiene Ernesto Galli Della Loggia, c’è una difficoltà nell’assumere una nostra identità nazionale. A questo proposito, dice Furio Colombo "noi stessi siamo i distruttori dell’immagine del nostro paese, noi stessi non riconosciamo la nostra identità con sufficiente energia e con sufficiente orgoglio, quel tanto di orgoglio che non c’è bisogno che sia sciovinismo per poterlo rivendicare, quando è il caso."

Nel corso della prima sessione di oggi "Promuovere l’Italia all’estero", verranno approfondite le politiche e gli strumenti di promozione con le testimonianze dei ministeri interessati. C’è un nesso evidente tra cultura, economia e politica; è noto che il peso politico di un paese è che la sua forza di penetrazione economica e commerciale dipendono anche dall’immagine culturale che esso sa darsi. Se nel passato i mercati si conquistavano con le guerre, oggi si intrecciano relazioni commerciali con la comunicazione, ma su questo rimando all’intervento di Paolo Fabbri, che poi magari mi smentirà.

C’è "fame di italiano nel mondo" dichiara la sen. Patrizia Toia (1), di italianità con le sue componenti economiche e produttive, ma per il rilancio della cultura italiana nel mondo è necessaria la riorganizzazione degli Istituti italiani di cultura: di questo parleranno Gioacchino Lanza Tomasi e Pietro Roselli. Bisogna riqualificare il personale, rafforzare i ruoli dirigenziali, bandire concorsi per reclutare giovani qualificati e per soddisfare la differenziata richiesta bisogna incrementare accordi per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole straniere, anziché in quelle italiane che costano troppo rispetto alla spesa per le iniziative culturali: infatti si spende uno per la cultura e otto per la retribuzione degli insegnanti nelle scuole italiane all’estero.

Accanto agli Istituti Italiani di Cultura, riorganizzati in modo agile e manageriale, occorre favorire strutture leggere e diffuse, proprio come Cultura Italiana e il Centro di Documentazione per Stranieri che non costano ma della cultura fanno un’attività fiorente.

Il modo di vivere italiano, anche se per noi è difficile apprezzarlo, è molto richiesto nel mondo. Arte, vino, cibo, moda, design, modo di vivere, ma anche inventiva, intraprendenza, flessibilità di pensiero e di azione, che sono stili, forme più difficili da comunicare ma che costituiscono il patrimonio di attitudini della cultura d’impresa. Per questo abbiamo la relazione di Guidalberto Guidi, presidente di Ducati Energia e membro di Confindustria.

A questo proposito Giorgio Pressburger, direttore dell’IIC di Budapest, ritiene che industria e cultura dovrebbero mostrare più coesione, infatti in altre nazioni banche, camere di commercio e grandi imprenditori intervengono in modo massiccio all’estero per sostenere la propria cultura.

L’Italia dovrebbe capire che proprio la cultura fa parte integrante della produttività.

Durante il citato convegno di Roma, l’on. Giovanni Castellani, presidente della Commissione Cultura della Camera ha riportato un’inchiesta condotta su un campione di turisti stranieri dal Touring Club: risulta che l’Italia tenderà nei prossimi anni a un’elevata crescita di turismo. Il 75% degli intervistati dichiara infatti che l’Italia è il paese più interessante, anche se i turisti poi scelgono di andare in Francia, che ottiene il doppio di turismo dell’Italia perché l’offerta turistica è migliore. Occorre per questo un marketing del sistema paese che sia fondato su diversi canali di diffusione, di vendita del prodotto culturale e turistico. Su questo argomento interverrà Stefano Landi.

Nel corso della seconda sessione di domani, verranno analizzate le caratteristiche economiche, produttive e culturali del territorio bolognese. Se oltre duecento anni fa Goethe faceva tappa a Bologna, seconda città per importanza dello Stato Pontificio, ma ancora relativamente chiusa e provinciale, unicamente per ammirare i dipinti della celebrata "scuola bolognese" dei Carracci e del Reni, se all’incirca negli stessi anni il respiro cosmopolita della città era ancora legato, per esempio, all’intensa attività in campo musicale, oggi Bologna è forse conosciuta fuori dai confini nazionali per i suoi punti di eccellenza in campo produttivo, professionale, universitario più che per la sua pur ricchissima trama di musei e di istituzioni culturali. Su questo tema si articolano gli interventi e la tavola rotonda di domani.

L’Assessore Marco Macciantelli presiederà e interverrà interrogandosi su cosa pensano di noi gli stranieri, sui patrimoni, sulla relativa offerta turistica, su come potenziare l’offerta rendendo conveniente il turismo culturale attraverso il distretto delle attività culturali.

Seguiranno gli interventi di Aldo Bonomi del Cnel per il distretto del piacere, la zona europea di massimo consumo di beni voluttuari, nel senso di luoghi di intrattenimento come ristoranti, discoteche, ritrovi di vario genere.

Ci sarà domani l’intervento di Roberto Curti, Direttore del Museo del Patrimonio Industriale, che parlerà in specifico della tradizione produttiva di Bologna.

I lavori di domani entreranno poi nello specifico del tema con la tavola rotonda presieduta da Carlo Cambi, Direttore di "Repubblica Viaggi", nel corso della quale i protagonisti economici Roberto Calari della Lega delle Cooperative, Daniele Vacchi dirigente IMA e Paolo Trevisani, responsabile del Turismo per Bologna 2000 si confronteranno sotto lo sguardo esterno del sociologo tedesco Peter Kammerer.

La tavola rotonda sarà conclusa da Enzo Zacchiroli, che con il suo lavoro di architetto a Bologna, in Italia e all’estero, costituisce un esempio della capacità di aprire un dialogo con i luoghi, anche all’interno delle culture altrui; con l’architettura la cultura assume il significato più ampio di lingua comune, di ricerca senza fine, di avvicinamento al diverso, mantenendo la propria identità.

Al termine, si svolgerà la festa di inaugurazione del Centro.

Paolo Fabbri Ringrazio molto Massimo Maracci per aver tracciato il quadro completo delle nostre giornate. Vorrei sottolineare uno dei punti importanti che ha messo a fuoco fin dall’inizio, cioè il problema della lingua italiana e della relazione complessa fra le lingue nell’Europa di oggi, numerosissime e difficilissime, e le difficoltà che questo crea nella cultura europea. Vorrei fare un esempio: non più di un anno fa è successa una cosa molto curiosa in Francia; il Consiglio d’Europa aveva deciso – cosa del tutto ragionevole per noi italiani – una legislazione di estremo rispetto per le lingue locali e per i popoli con una loro propria lingua e questa disposizione europea andava poi recepita da tutte le legislazioni dei paesi appartenenti alla Comunità, ma il Presidente J. Chirac ha interrogato il Consiglio di Stato francese sull’ammissibilità di una legge di questo genere, per la ragione molto semplice che questo avrebbe presupposto la presenza di una lingua corsa e l’esistenza di un popolo corso. Ci sono dunque leggi europee che l’Italia è già pronta – sia nella sua pratica, sia nella sua legislazione – ad accettare, altre che pongono gravi problemi politici.

Aggiungerei ancora un dettaglio: c’è una crescita considerevole, per esempio in America e particolarmente in California, dell’insegnamento della lingua italiana, perché è enorme la popolazione di lingua spagnola o latino-americana ed essendo le due lingue morfologicamente e culturalmente molto vicine, questo significa un aumento in America di una domanda di lingua e di cultura italiana in lingue latine. Trovo che questa esperienza sia molto interessante, significa che l’italiano ha un ruolo da giocare come il vecchio latino. Oggi esistono programmi linguistici molto efficaci che, sul piano del riconoscimento passivo della lingua, non per parlarla ma per ascoltarla, consentono in un tempo compreso tra le 25 e le 40 ore una comprensione passiva di tutte le lingue latine, cioè 5 grandi lingue latine parlate da centinaia di milioni di persone. Questi corsi, che insegnano tra 25 e 40 ore, sono in fondo corsi di latino, cioè di quanto le lingue latine hanno in comune come base. Curioso:l’esportazione della lingua italiana si rifarà non solo come lingua italiana ma anche come lingua latina.

Mi trovo ora in leggero imbarazzo perché non so a chi devo dare la parola.

Massimo Maracci Possiamo continuare seguendo l’ordine e interrogarci sul ruolo degli Istituti Italiani di Cultura nella comunicazione dell’immagine dell’Italia. L’ordine prevede l’intervento del professor Gioacchino Lanza Tomasi poi di Pietro Roselli, Direttore dell’Istituto di Cultura di Monaco.

Paolo Fabbri Sono in grado di fare una breve premessa per una ragione del tutto privata, ma forse comunicabile, cioè che sono stato direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi tra il 1992 e il 1996, ma questo è un piccolo errore di percorso, mentre questo non è stato il caso di Gioacchino Lanza Tomasi che rientra ora all’Università di Palermo dopo avere gestito per quattro anni l’Istituto Italiano di Cultura di New York e gli passo la parola. Gioacchino è molto conosciuto in questa città e credo che molti di voi riconosceranno con piacere il ritorno della sua voce.