COME PROMUOVERE L'IMMAGINE DELL'ITALIA DI OGGI ALL'ESTERO

 
.

Discorso di saluto

           

 

 

 
 

Vittorio Prodi Presidente della Provincia di Bologna

Grazie a tutti voi per essere intervenuti. Questa è un’occasione che ci viene offerta per cercare di capire – non per fare una battuta – chi siamo e dove andiamo; in particolare non solo noi come Italia ma anche come comunità locale; ormai c’è un protagonismo delle comunità locali che viene ad essere molto importante ed interessante, un po’ per riflesso di questa cessione di sovranità che gli Stati nazionali stanno facendo ad organismi sovranazionali e che riporta alla superficie una struttura di protagonismo locale: Regioni, Province e Comuni che sono un patrimonio della nostra capacità di partecipazione alla struttura della nostra pubblica amministrazione.

Vorrei anche sottolineare il ruolo che le autonomie locali avranno anche nell’allargamento dell’Unione, in particolare con gemellaggi veri che si possono intessere fra le autonomie omologhe e che possono essere in questo modo addirittura prese per mano verso l’Unione, proprio perché in questi casi credo ci sia da fare un lavoro e cercare di farlo in fretta.

Naturalmente tutto questo deve essere aiutato da una attività di tessitura di una nostra identità, anche le autonomie fanno parte di questa identità, noi abbiamo già degli strumenti importanti che risiedono all’estero e che quindi ci possono aiutare in questo lavoro, di cercare di osservarci da fuori: abbiamo un senso della nostra identità, ma la percezione nostra da parte delle comunità con cui vogliamo entrare in contatto è molto spesso diversa dalla percezione che noi abbiamo.

Mi sembra quindi sia importante sentire tutte queste voci di responsabili di Istituti di cultura all’estero, dell’Istituto di Commercio, delle Ambasciate e dei Consolati che dobbiamo cercare di fare sempre più strettamente voce concorde della nostra presenza italiana ma anche antenna di quello che si aspettano gli altri popoli da noi, come ci vedono, come ci percepiscono, quali sono cioè i punti di forza su cui noi possiamo contare e anche i punti di debolezza da correggere. Ci sono stereotipi che dovremo combattere con proposte più serie, più strutturate di quanto non sia quella percezione. Quindi prendere questo come un punto di partenza per una presenza coordinata all’estero, tenendo conto di tutto quello che i nostri potenziali interlocutori si aspettano da noi.

Ci sono poche cose che il cittadino medio degli altri paesi conosce dell’Italia, e forse ancora meno conosce di Bologna, quindi anche questo dovrà essere considerato in modo approfondito, però possiamo realmente fare tutta una serie di cose per migliorare la nostra capacità di colloquio e anche di penetrazione dei nostri prodotti come risultato di una incorporazione di una nostra cultura, di una nostra immagine nei nostri prodotti. Quando penso a delle cose che possono essere caratteristiche, mi viene in mente di aziende che adesso sono a scala mondiale ma che sono nate da una cultura artigianale molto forte, una identità – penso all’azienda Max Mara, la madre di Achille Maramotti è una maestra di taglio – con questa capacità di dare il gusto delle cose fatte per bene, finite bene, artigianalmente, con gusto e con passione; la stessa cosa si potrebbe dire della Perla, l’idea di partenza è di una bustaia di cui non ricordo ora il nome, con figli intelligenti che hanno saputo dare la capacità di riprodurre questo gusto dell’oggetto ben fatto, come d’altra parte anche nelle calzature, in tanti esemplari che potevano trovare collocazione all’estero.

Mi sto anche preoccupando della incorporazione di una cultura nelle nostre merci che vanno fuori. Ecco che allora, parlando di metalmeccanica, sono stato molto colpito da un amico che aveva un’azienda di meccanica fine, con cui ha lavorato tantissimo, ha fatto degli oggetti impensabili, perché ci sono sempre state delle mani d’oro, questa persona ha chiuso la fabbrica, non è più riuscito a trovare persone con queste capacità professionali. Mi sono sentito impoverito di cultura, perché vedo a rischio una capacità di realizzare prototipi, cose che nessuno ha mai pensato prima e che possono nascere qui, perché potenzialmente c’è un contesto di ideatori e di realizzatori. Se ci azzoppiamo dei realizzatori, veniamo anche a compromettere la capacità di parlare attraverso i nostri prodotti con tutte le altre nazioni.

Questo mi sembra sia tutto un rovello di pensieri, non ci mancava altro che la provocazione di Fabbri sui ponti abitati, come si fa ad abitare i ponti, come si possono rendere abitati i nuovi ponti della tecnologia dell’informazione, perché siano vivi, perché nel passaggio delle persone e delle cose ci si possa anche aggiungere qualche impressione, qualche tocco: è una metafora che sarebbe molto invitante, ma non credo sia il caso di insistere perché dovevo fare solo dei saluti e mi rendo conto che invece ho esagerato.

Chiedo scusa e voglio veramente salutare tutti gli intervenuti perché credo che questa sia l’occasione per una presentazione reciproca e questo impegno che dobbiamo mettere a Bologna per capire come il colloquio deve essere – forse non dovrei dirlo io – sprovincializzato, pensato su scala globale perché mettendoci nei panni degli altri noi vediamo il nostro mondo, ma gli altri che comprano oggetti li comprano da tutte le parti del mondo e quindi dobbiamo metterci in quegli occhi che guardano i nostri prodotti ma che ne hanno già visti degli altri. Dobbiamo quindi avere questa apertura costante, perché se vedo un rischio nella nostra società è quello di un’autosoddisfazione e a quel punto siamo finiti in pochi anni, proprio perché l’accelerazione che adesso hanno i processi è talmente forte che anche le cadute sono ancora più rapide. Quindi o ci diamo una mossa – come si dice – oppure rischiamo di scomparire, per lo meno di scomparire da quel fronte di avanzamento in cui siamo in questo momento nel nostro paese e anche fra le regioni, le comunità più propositive in senso generale nel mondo.

Grazie per essere intervenuti.

Marina Deserti Assessore alla Cultura del Comune di Bologna

Grazie di avermi invitata in questa occasione che mi dà modo di fare alcune considerazioni che, in parte, sono già state anticipate dal Presidente Prodi. Devo dire che se "Made in Italy" è il tema di questo incontro, ecco che allora finalmente, senza alcuna remora e senza più nessun pudore, possiamo parlare di prodotto-città, di prodotto-cultura, di città come prodotto, di universo-mercato e di cittadino non solo utente e fruitore ma anche consumatore, termini che mutuiamo dal marketing ma che sono ormai un codice per vendere. Se questo è l’obiettivo, allora è bene si parli con i termini che le esigenze richiedono, anche se naturalmente su questo punto credo ci siano molti distinguo da fare e molti punti interrogativi da tenere in considerazione in quanto valutare la cultura, per esempio in termini di quote di mercato, secondo me sarebbe estremamente pericoloso e deviante. Penso che alcuni elementi del mercato e del prodotto nel mercato vadano tenuti in considerazione, ma che si debbano usare fortissimi correttivi.

Se comunque si parla di un mercato della cultura nel mondo, "Made in Italy" sì, "Made in Europe" per forza, "Made everywhere" perché ciascuno ha qualche cosa da vendere e noi forse partiamo molto avvantaggiati perché abbiamo il 50% del patrimonio storico, culturale e architettonico mondiale e quindi abbiamo più prodotto, più cose da vendere, una maggiore tradizione da vendere, però non siamo certamente i primi a partire, anzi siamo un po’ in ritardo. Un paese come l’Inghilterra è partito molto prima di noi a promuovere il prodotto Inghilterra inteso sia come cultura, sia come prodotto, sia come prodotto di alta gamma, sia come prodotto leader, prodotto di nicchia. L’insegnamento dell’inglese – ha dati vecchissimi – mi risulta che alcuni anni fa fosse forse la maggiore industria inglese, con oltre un milione di addetti che insegnavano l’inglese nel mondo.

Non credo che potremo mai andare all’inseguimento di quel tipo di risultato, però certamente siamo molto avvantaggiati rispetto ad altri paesi, perché abbiamo il patrimonio ma abbiamo anche un’efficacia straordinaria che fa parte del nostro DNA, quella a cui accennava il Presidente Prodi quando parlava delle nostre aziende meccaniche – qui abbiamo un esempio con la Ducati – o Max Mara o altri. Però, se entriamo in questo pensiero, allora ecco che la nostra efficacia non basta, dobbiamo parlare di efficienza, di programmazione e progettazione culturale volta al mercato culturale mondiale.

Come ne possiamo parlare? Possiamo farlo lamentandoci degli strumenti che non abbiamo, ma tenendo presente che gli strumenti che vorremmo avere, quali l’ICE e i Ministeri degli Esteri delle cui riforme si parla da tantissimo tempo, in realtà non devono a mio avviso subire riforme, ma devono semplicemente diventare strumenti adattabili, esattamente come chi ha un prodotto sul mercato non rinnova totalmente le proprie catene di produzione e la distribuzione e il marketing, ma si adatta di volta in volta cercando di migliorare quell’elemento critico che in quel momento il mercato richiede di migliorare. Quindi, più che parlare di riforme degli enti preposti alla promozione culturale o dei prodotti, vorrei parlare di elasticità e di managerialità. Questa mattina ho partecipato a un convegno sul management della cultura, questo è forse il tema: la cultura è una delle attività in cui si richiede un approccio manageriale. A Bologna abbiamo molti strumenti che forniscono questo tipo di figura professionale e che a mio avviso devono semplicemente essere affinati e focalizzati verso un obiettivo. Nel momento in cui si creano figure manageriali, ecco che si devono creare quei criteri di valutazione delle performance culturali a cui accennavo prima, e si devono creare senza alcun timore di essere valutati perché questo è il senso del mercato della cultura nel quale – se la premessa è giusta – noi vogliamo muoverci.

Nessuna paura, quindi, di analizzare ciò che si fa, ma tenendo presente alcuni criteri e correttivi, quelli che la cultura deve comunque essere integrazione, che la cultura deve comunque essere spesso un unicum, che non è la mostra più frequentata quella che ha maggiore valore, che l’obiettivo è quello comunque di dare voce alle idee e alle espressioni dell’intelligenza e della genialità. Credo che se c’è una cosa che è sempre stata riconosciuta all’Italia, sia quella di non mancare di menti intelligenti e geniali.

Paolo Fabbri Vorrei passare la parola al Ministro Cilento per il Ministero degli affari esteri. Come direttore del dibattito farò una piccola osservazione preliminare che mi sembra necessaria in questo caso.

Perché un insieme di merci diventi un patrimonio, ci vuole qualcosa e il mercato forse non basta: nessuno ha mai dimostrato che il mercato sia riuscito ad articolare le merci e gli oggetti in un patrimonio. Perché ci sia un patrimonio occorre un riferimento ad una generalità, cioè ad un’immagine: siamo quello che siamo e quello che facciamo ma anche ci definiamo in qualche misura per quello che siamo. Ecco perché parlare di politica culturale è importante, significa il modo con cui ci autorappresentiamo e ci presentiamo agli altri così come noi vorremmo essere per loro. E, se mi permettete ancora una metafora con cui passerò la parola al Ministro Cilento, vorrei ricordarvi "Alice al di là dello specchio" di L.Carroll. Alice vede se stessa nello specchio – lo specchio serve per dare a se stessi un’immagine – però, appena passa dall’altra parte tutto è leggermente diverso e bisogna comportarsi diversamente. Ecco allora, Ministro, Le passo la parola.