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Prefazione

           

 

 

 
 

Richiesto di una noterella d’apertura, vorrei cogliere l’occasione per evitare la retorica dei saluti e dei ringraziamenti, rendendo, invece, onore alle pagine che il lettore si accinge a sfogliare, affidandomi ad una rapida riflessione, più di merito, spero, che di circostanza. Un aspetto saliente di questo ricco dialogo a più voci poggia sul fatto che, opportunamente, "Cultura Italiana" ha voluto impostare un convegno su due questioni tra loro intimamente intrecciate: 1) come ci proponiamo all’estero dal punto di vista culturale?; 2) che cosa pensano gli altri di noi? Una discussione avviata proprio nel momento in cui sembra determinarsi una interessante vivacità dei luoghi, maggiori e minori, in una pluralistica visione della stessa idea della promozione culturale. Nel momento in cui si verifica un certo rilievo della cultura italiana all’estero, e dell’attenzione che all’estero affiora verso la sfera dell’"italianità". Ciò che viene apprezzato, dai nostri interlocutori stranieri, è una dimensione più aperta della cultura italiana. Paolo Perulli in un suo libro recente ha spiegato (La città delle reti. Forme di governo nel postfordismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 115) come dapprima "gli stati nazionali vedevano con sospetto i responsabili regionali o i sindaci recarsi a Bruxelles", poi come questi contatti siano diventati "regolari" e come "lo Stato non è più il solo abilitato a prendere decisioni sulla base delle negoziazioni svolte". In questa situazione nuova, di protagonismo delle regioni, dei territori e delle città, la domanda è: quale progetto di promozione della cultura italiana? Non vi è dubbio che una buona proposta è segno di consapevolezza sul ruolo che deve giocare un grande Paese. Forse non è escluso che sia giunto il momento di immaginare un intervento volto ad una promozione policentrica della progettualità culturale italiana. Puntando su un movimento induttivo, dal basso, per far leva su un tipo di offerta locale che abbia le caratteristiche per essere recepita e compresa anche in un ambito di riferimenti più vasti, per valorizzare la tipicità, qualcosa di peculiare, capace, però, al contempo, di assumere una valenza più generale. Tutti sappiamo che l’Italia vanta gran parte dei beni culturali d’Europa; ma limitarsi a dirlo serve a nulla, se non si dà la condizione concreta di spiegare come, quando, a quali prezzi, con quale rapporto costi-benefici ci si può recare nel nostro Paese, godendo delle sue bellezze. Anche qui molto dipende dal modo in cui noi ci presentiamo. Bologna, nel 2000, partecipando alla rete delle capitali europee della cultura, ha tratto non pochi benefici dalla relazione cultura-turismo. E ciò è accaduto perché il suo contesto culturale e turistico ha espresso uno sforzo teso a favorire, con più impegno, le circostanze della visita. È un piccolo esempio, da non enfatizzare, da non sottovalutare, contestuale allo sviluppo di un confronto, tutt’altro che compiuto, di cui le pagine seguenti recano non pochi stimoli, in direzione di una consapevolezza, in via di maturazione, rispetto a cui il convegno prima, questi atti adesso, ci aiutano a comprendere il significato rivolto al futuro.

Marco Macciantelli