Tavola Rotonda: RACCONTARE BOLOGNA, VETRINA DELLA SOCIETÀ ITALIANA ALL'ESTERO

 
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Discorso introduttivo

           

 

 

 
 

Carlo Cambi Giornalista, Direttore di Repubblica Viaggi

Buongiorno a tutti. Cercherò di non essere invasivo in questa conduzione, anche se non mi riesce sempre di rispettare il ruolo di moderatore, ne preferisco un altro, quello del provocatore. Il titolo della nostra tavola rotonda è "Vetrina della società italiana all’estero. Raccontare Bologna". Francamente credo che avremo altri spunti dagli interventi dei nostri relatori, perché se ci limitassimo a questo tema forse ci vorrebbe a questo tavolo Vasco Rossi, un ingegnere della Ferrari, quelli che sono gli stereotipi del nostro paese nel resto del mondo. Io non sono affatto d’accordo che raccontare l’essenza della cultura del nostro paese all’estero possa essere messo in vetrina; in questi tempi – a proposito, mi faccio pubblicità: dopo Repubblica Viaggi è nato pure il sito Internet che si chiama www.eviaggi.com dove, fra l’altro c’è uno speciale abbastanza corposo dedicato a Bologna 2000 capitale della cultura europea, se lo volete vedere dovete fare demo perché ancora è in Intranet e non in Internet, debutterà fra una ventina di giorni – sono convinto che le vetrine non funzionino più, si deve avere il coraggio di portare le nostre idee, i nostri patrimoni culturali, virtuali e d’immaginario fuori dalle città, è assolutamente stupido pretendere che uno venga a Bologna e da qua percepisca che cos’è l’Italia, ben che gli vada può percepire un’idea della città di Bologna nel corso dei secoli, perché altrimenti gli apparati di rappresentatività e rappresentazione, le capacità di dialogo che un singolo territorio dovrebbe avere per essere in vetrina sono infinite.

Per esempio, è molto strano – e lo dico a mo’ di provocazione verso gli amministratori pubblici di questa città – che a Bologna non ci sia nessun riferimento visibile, immediatamente percepibile all’alto tasso di tecnologia che questa città ha espresso nei secoli. È noto a tutti che i primi telai per la filatura della seta, che hanno addirittura anticipato i telai a vapore inglesi che determinarono la cosiddetta rivoluzione industriale, sono stati inventati qua. Ma se veniamo agli stereotipi che dicevo prima, è abbastanza sorprendente che a Bologna non ci sia, da qualche parte, una bacheca di vetro con una Ferrari dentro, che a Bologna non ci sia, per esempio, nessun tipo di riferimento a quell’agricoltura di qualità che è sempre stata uno dei must di questo territorio: perché pensare a Bologna come la città ancora municipale? Sentivo prima un intervento molto interessante che mi sembrava più un auspicio che una fotografia della realtà: ma dove esiste l’asse Bologna-Rimini? Ma veramente siete convinti che esista l’asse Bologna-Rimini? Esiste un’autostrada ingolfata, basta! Non c’è questo collegamento. L’Emilia Romagna ha la caratteristica di essere un territorio di città diffuse lungo la via Emilia che non dialogano tra di loro e questo riferimento a Bologna-Rimini è un riferimento – ammesso che sia vero – che taglia via un’altra parte della regione e un altro collegamento importante E’ un dibattito antico: Bologna è la prima delle città romagnole o l’ultima delle città emiliane? Ricordo che quando arrivai a Bologna per lavorare la prima volta mi fu spiegato che la Romagna comincia da via San Vitale. Veramente pensate che questo possa essere ancora un modo di rappresentare un territorio e di collocarlo sul mercato turistico? Prima sentivo parlare di economia del turismo; e perché non turismo dell’economia? Ci sono delle zone del mondo, e parlo per esempio della Napa Valley e di Sonoma, che hanno inventato un turismo dietro un’attività economica; la Silicon Valley, vi sembrerà assurdo, è meta di turismo perché è diventata un must, perché ha un’immagine forte.

Da Piacenza a Cattolica ci sono infinite gamme di possibilità di turismo inteso non come vacanza o tempo libero, ma come presa di contatto e conoscenza, questo è il valore nuovo del turismo. Il turismo maturo, ricco, l’unico turismo al quale noi possiamo continuare ad aspirare. Il turismo internazionale sconta prezzi impraticabili in Italia; un soggiorno di 15 giorni a Capo Verde, se parliamo solo di vacanza, volo compreso, costa 1.800.000 lire. Siamo passati, sul mercato mondiale – lo dico a tutti i convegni – dagli hotel di charme agli hotel di Sharm el-Sheikh. Allora non possiamo più pensare che il turismo attratto da noi è quel tipo di turismo, lo possiamo fare in aree marginali del paese, ma non ci possiamo fare sopra né un ragionamento culturale, né un ragionamento programmatico, né un ragionamento economico.

Il ragionamento che dobbiamo fare è puntare ai turismi di qualità, ai turismi di monopolio per capirci; nel senso che il Regio di Parma esiste solo a Parma, ma non perché è un teatro lirico, perché sostanzia un tipo di turismo in grande crescita. Vedo lì una ragazza asiatica, e mi viene in mente questa immagine forte, parlando con i giapponesi mi sono reso conto che ci sono due fondamentali motivi per cui vengono in Italia: il primo è costituito dalle griffe, il secondo è la lirica, c’è un tour operator che porta alcune decine di charter di giapponesi a vedere la Scala, a vedere il Carlo Felice, e perché non a vedere il Regio di Parma? Ci avete mai pensato perché? Perché il Regio di Parma ha avuto una gestione della sua immagine molto domestica.

Se Bologna vuole essere la vetrina dell’immagine di questo territorio all’estero, dovrebbe essere capace di diventare il luogo di rappresentanza di questi turismi, che vanno dalla Ferrari, alle discoteche di Rimini ma anche al Regio di Parma, al culatello di Zibello. Non c’è nulla di tutto questo in questa città, questa città non è rappresentante del suo territorio; è al massimo rappresentante di se stessa. Siamo nell’anno 2000 con Bologna capitale della cultura europea, io sono arrivato a Bologna, come quasi tutti i week-end, e non trovo traccia del fatto che da mille anni qui risiede una università. Mi chiedo, per stare al tema della vetrina, che tipo di gemellaggio culturale sia stato fatto con la Spagna e con tutti gli altri domini europei che da secoli hanno avuto collegi a Bologna.

È chiaro che se la concezione del turismo che ancora noi abbiamo è quella di "Vieni, ti spolpo, arrivederci e grazie", tutto questo è indifferente; si può continuare ad alzare le tariffe alberghiere del 30-40-50% quando c’è il Saie, il Cersaie o il Cosmoprof, e vivere tranquilli, finché poi non succede che Hannover, piuttosto che Siviglia o Barcellona o Atene si fanno il loro congresso, il loro polo fieristico e portano via anche quel tipo di turismo.

I turismi vivono per sensazioni, per emozioni, per motivazioni ormai; vivono per eventi, vivono per grossa capacità di comunicare la diversità e l’unicità. Bologna, da questo punto di vista, avrebbe un turismo monopolistico assoluto, che è appunto il turismo culturale. Ma non è tenendo "nascosta" la cultura che si riesce a produrre quel tipo di turismo. Francamente, per Bologna 2000 mi sarei aspettato un cartellone di spettacoli che andasse da Piacenza a Cattolica, con eventi di caratura mondiale, 5.000 convegni non servono a nulla, quello che serve è dire noi siamo capaci di produrre questo tipo di emozioni, questo tipo di valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Perché non una grande mostra, visto che il tema di Bologna è la comunicazione, da Gutemberg all’ultimo portatile della Microsoft, raccontando che, guardate caso, in tutta questa ingegneria della comunicazione – parlo dell’hardware – c’è sempre una storia di ingegno italiano, forse non tutta bolognese, non tutta emiliana, ma sicuramente di ingegno italiano. E una città che dice di essere la capitale europea della cultura e della comunicazione non mette in valore tutto questo? E allora che tipo di turismo ci aspettiamo? Quello dei tortellini surgelati? Non è questa la strada. La strada buona per essere vetrina è, prima di tutto, essere vetrina di intelligenze e su queste costruire eventi e sugli eventi rafforzare i monopoli di suggestione per il turismo.

Passo la parola al primo degli interventi, Peter Kammerer.