LA CULTURA DELLA PRODUZIONE. L'IDENTITÀ DI BOLOGNA E DEL SUO TERRITORIO ALL'ESTERO

 
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Discorso introduttivo

           

 

 

 
 

Marco Macciantelli Assessore Cultura e Turismo della Provincia di Bologna

Raramente si dà l’occasione per riflettere su ciò che siamo; ovvero su ciò che gli altri pensano di noi. In genere prevale un atteggiamento introspettivo, e quindi consolatorio, mai del tutto sincero o veritiero. Bisogna invece guardare in faccia la realtà. Partendo da un’identità che possiamo ricavare solo dal confronto con gli altri. Di qui l’importanza e la novità di un incontro come questo, di cui ringrazio, in particolare, Massimo Maracci.

La questione dell’identità è fondamentale anche per affrontare il tema della cultura e del turismo. Tutti confidiamo negli interventi che tra poco svolgeranno Aldo Bonomi e Roberto Curti. Per parte mia, accogliendo l’invito a proporre, a mia volta, alcuni spunti per la discussione, vorrei svolgere qualche pensierino su un aspetto specifico e più circoscritto: il turismo culturale. In riferimento a due questioni. L’offerta turistica, oltre il messaggio promozionale; e il rilievo della produzione culturale, al di là del semplice consumo. Cercando di porre il tema, come si dice, con i piedi per terra. Senza ricorrere alla tradizionale retorica degli auspici. Una retorica che, nel discorso degli amministratori, finisce, in genere, per far riferimento ad "opportunità" e "potenzialità", mai meglio precisate, che un destino cinico e baro non aiuterebbe a cogliere, a comprendere, a sviluppare. Mentre il tema è piuttosto inerente al fatto che ciò che siamo dipende da ciò che facciamo e da come ci proponiamo.

Partirei, intanto, da un episodio personale. Poco dopo aver assunto l’incarico di assessore provinciale, nel ’95, mi capitò di partecipare ad alcune fiere turistiche internazionali, tra cui l’Itb di Berlino e il Mit-Car di Parigi. Animato dai migliori propositi, colsi l’occasione per stabilire qualche contatto; e visitai, in entrambi i casi, gli uffici Enit. Convenevoli, cordialità, qualche domanda. Durante gli incontri mi capitò di chiedere se i nostri materiali promozionali fossero sufficienti e adeguati. La risposta che ne ebbi mi sorprese allora e tuttora continua a farmi riflettere. Fu questa. Ecco. I materiali più o meno vanno bene, mi fu spiegato. D’altra parte, cosa vuole: con Rimini, l’Emilia-Romagna non ha bisogno di promozione. Si promuove da sé. Ed io: come? cosa c’entra Rimini con la regione? cosa c’entra, soprattutto, con Bologna? Ma sì, insomma, Rimini, la Costa, non è l’Emilia-Romagna?

Sia ben chiaro: tanto di cappello alla Costa. Anzi, personalmente sostengo che, invece di continuare a rivendicare un ruolo, dalla Costa abbiamo tutti da imparare. Imparare come, grazie al lavoro e a un po’ di fantasia, si possa fare turismo. Inventarsi una chiave per lo sviluppo locale. Proprio a seguito delle impressioni ricavate da quei viaggi, avendo constatato una certa debolezza degli strumenti volti a promuovere Bologna e il suo territorio, nel corso del quadriennio ’95 -’99, abbiamo realizzato un pacchetto di materiali, tradotti nelle principali lingue, con guide e ospuscoli, un video e un cd-rom, che ancora mancavano a Bologna, e che oggi rappresentano almeno un primo biglietto da visita, per presentare quello che offre il contesto bolognese, dal punto di vista turistico.

Ma non intendo fare auto-promozione. Vorrei piuttosto esaminare, insieme a voi, alcuni risultati della recente indagine promossa dal Dipartimento del Turismo, per la cura di Stefano Landi (intervenuto ieri), dal titolo: La marca Italia. Analisi di marketing per il turismo oltre il 2000 (Milano, Touring Club Italiano, 2000). Un lavoro che fa al caso nostro. Per alcuni buoni motivi e alcuni dati che è opportuno riprendere. Innanzitutto questo: il prodotto turistico è connesso "alla marca Paese", in un intreccio indissolubile tra ciò che si vende e ciò che si propone. A partire dal made in Italy per arrivare sino al contesto territoriale del Paese. Vediamo meglio in che modo.

Il lavoro di Landi spiega come dell’Italia all’estero si parli a proposito di: 1) luogo di vacanza; 2) sport e calcio; 3) la figura del Papa e il ruolo della Chiesa cattolica; 4) cultura e arte; 5) delinquenza; 6) situazione politica; 7) cibo e buona cucina; 8) clima. Eccetera.

Ora, attenzione. Al primo posto è l’Italia come luogo di vacanza. Al quarto la connessione con il patrimonio artistico-culturale. Al settimo quella con la cucina (esplicitamente definita "buona"). Quindi: vacanza, cultura, cucina. Sono il patrimonio artistico-ambientale e quello enogastronomico ad essere maggiormente apprezzati in campo turistico. Hinter den Stränden liegt das wirkliche Italien (Dietro le spiagge si trova la vera Italia), titolava un giornale tedesco qualche tempo fa. Una relazione importante, quella tra cultura e cibo, che, come vedremo, può avere a che fare anche con la nostra stessa riflessione di oggi.

Nella graduatoria della notorietà dei luoghi, troviamo: 1) Roma; 2) Venezia; 3) Milano; 4) la Sicilia; 5) Napoli; 6) Firenze. L’offerta artistico-culturale conserva il primo posto. Seconda è la qualità dei vini. Terza quella dei prodotti. Nella classifica dei dieci luoghi maggiormente visitati eccelle il triangolo turistico e artistico-culturale più tradizionale. Il cosiddetto "turisdotto", vale a dire Roma-Venezia-Firenze. Anche nella classifica delle mete più desiderate troviamo: 1) Roma, 2) Venezia, 3) Firenze.

Ancora. Relativamente alla ricognizione effettuata presso quattordici Paesi sull’immagine e la notorietà dell’Italia, Bologna risulta diciottesima, subito dopo Rimini. Riguardo alla percentuale di popolazione che prevede di viaggiare all’estero nei prossimi tre anni: ventitreesima, sempre alle spalle di Rimini.

I primi cinque luoghi di cui hanno sentito parlare gli stranieri nel 1999 sarebbero, nell’ordine: Roma, Venezia, Firenze, Milano e la Sicilia. Se guardiamo alle intenzioni di visita nelle regioni italiane, l’Emilia-Romagna è al settimo posto; dopo Lazio, Veneto, Toscana, Lombardia, Campania, Sicilia.

Interessante anche l’attenzione della stampa estera verso l’Italia. Tra i personaggi, al primo posto, comprensibilmente, è Romano Prodi. Nella graduatoria degli eventi, al terzo, inopinatamente, il Gran Premio di Formula 1. Gli altri due passi in cui Bologna viene espressamente citata sono a proposito dei russi, perché la considerano una meta per lo shopping, e, in ordine alla notorietà degli eventi fieristici, il Motorshow. Ed ecco tre chiari elementi di identità e di immagine all’estero del contesto bolognese. Il Gran Premio di Imola, lo shopping, il Motorshow. Non pretendo di ricavare dalla ricerca del Dipartimento del Turismo una specie di istantanea definitiva; tuttavia, grosso modo, la situazione pare questa. Anche in riferimento al tema che stiamo trattando e alla collocazione di Bologna nel panorama turistico. E dunque: Gran Premio di F.1, shopping e Motorshow. Si potrebbe dire: fiere e commercio battono cultura e arte 3 a 0. Almeno per il momento.

Dal che si evince, una volta di più, che non basta dire: Bologna è bella; venite a Bologna. Non basta dire che Bologna è una città d’arte; o che nel Novecento ha dato i natali a figure come Guglielmo Marconi, Giorgio Morandi e Pier Paolo Pasolini, che in parte rappresentano oggi la cultura italiana nel mondo. È giusto, è necessario ricordarlo, ma, al contempo, occorre costruire l’offerta commerciale, collegarla ad eventi concreti, per promuoverla nel modo più adeguato. Da questo punto di vista, il nostro contesto probabilmente non ha ancora dato il meglio di sé. Anche se sono convinto che la partecipazione di Bologna al network delle capitali europee della cultura è, in ogni caso, comunque vada, un’occasione preziosa: perché Bologna può giovarsi di un numero di contatti senza precedenti per far conoscere alcune delle sue peculiarità in campo culturale.

Ma anche questo non basta. Occorre determinare le condizioni concrete del soggiorno. Prima di tutto, pensando ad eventi culturali più orientati verso l’offerta turistica. Quindi, affrontando il gran tema del soggiorno. Senza sfuggire a domande solo apparentemente ovvie. Ad esempio: quali quote della struttura ricettiva, dell’ospitalità, della ristorazione, a favore del turismo culturale? E soprattutto: a quali prezzi?

Su questo, permettetemi un ulteriore, piccolo spunto di riflessione. Non è del tutto vero che a Bologna non vi sia turismo. Sappiamo che, relativamente al movimento alberghiero, siamo a più di un milione e duecentomila arrivi. Davanti a Bologna, in Emilia-Romagna, è solo Rimini. A quasi tre milioni di presenze. Come arrivi e presenze, non motivati dal balneare, Bologna è la prima in regione, e può ancora crescere. Il problema, tuttavia, è quello del turismo culturale. E precisamente: dove, quando, in relazione a quali proposte, può aver luogo, a Bologna e nel suo contesto territoriale, il soggiorno relativo al turismo culturale? La città conta oggi 76 alberghi per 4.035 camere e 7.394 posti-letto. Tutta la provincia: 347 alberghi per 11.055 camere e 20.636 posti-letto. Con un sistema fieristico che è secondo in Italia e quinto in Europa (con circa 20.000 espositori per oltre 1.200.000 visitatori). Ma con un’utilizzazione media dichiarata delle strutture alberghiere che non supera il 50%. E allora, prima di tutto, occorre inserire quote di turismo culturale, che, com’è noto, è prevalentemente di nicchia, negli interstizi del turismo d’affari, congressuale e fieristico. È possibile? Personalmente penso di sì. Da un certo punto di vista, basta volerlo. Ma bisogna volerlo. E quando, esattamente, inserirlo? Quando le fiere non sono in funzione. Specialmente durante l’estate e nel periodo natalizio. E allora: eventi pensati per attrarre, calendarizzati in momenti opportuni, per intercettare l’offerta di posti-letto negli alberghi. I quali, in tal modo, non dovranno rinunciare alle fiere, ma, piuttosto, cogliere l’opportunità, per dir così, di fare due incassi, invece di uno: quelli delle fiere e quelli del nuovo turismo culturale. Dopodiché esiste anche un problema di dotazione della nostra struttura ricettiva, come peraltro è stato osservato anche di recente. Però, intanto, occorre porsi il problema di utilizzare, a pieno regime, la dotazione esistente (senza mai dimenticare che l’impiego medio delle strutture alberghiere può essere, verosimilmente, incrementato).

La sfida vera consiste nel rendere conveniente l’investimento sul turismo culturale. È inutile colpevolizzare qualcuno, quando si sa che solo se questo settore saprà dimostrare di essere competitivo, potrà impegnare nuovi investimenti, anche da parte dei privati. L’esperienza dell’Unione regionale di prodotto Città d’arte cultura e affari dell’Emilia-Romagna va in questa direzione - e non senza interessanti risultati.

C’è un altro aspetto che forse è opportuno rammentare. Senza toni particolari. E tuttavia: occorre sapere che Bologna, di fatto, non si rende del tutto conto di rinunciare a inserire nella proposta di turismo culturale alcuni suoi settori di eccellenza. Basta pensare al circuito teatrale. Tuttora non c’è un’adeguata vendita di poltrone all’interno di pacchetti mirati. Sapendo che per vendere una poltrona in una rete più ampia, occorre impostare un programma con capacità previsionale, biennale ovvero triennale, e decidere di porre, come si dice, sul mercato, quote di poltrone con il necessario anticipo. Da questo punto di vista trovo di estremo interesse le dichiarazioni del sovrintendente Luigi Ferrari di qualche giorno fa: anch’io penso che il Teatro Comunale meriti un pubblico (non solo, ma anche) internazionale.

Così come, peraltro, non c’è ancora un sufficiente trattamento turistico di quello straordinario museo plurale che è l’insieme dei beni culturali collocati lungo via Zamboni, come giustamente ama sottolineare Andrea Emiliani. In nuce, la proposta di un soggiorno del fine-settimana rivolto ad un’utenza, italiana ed europea, che può essere, anche grazie ai buoni collegamenti del nostro aeroporto (che ha superato i 3 milioni di passeggeri l’anno, di cui almeno la metà internazionali, con previsione di un raddoppio nei prossimi anni), opportunamente coinvolta e incoraggiata. Imparando, anche qui, qualcosa non solo dal caso Ferrara, ma da altre città d’arte emiliane e romagnole impegnate nel turismo, come Ravenna, Parma e Modena.

Lo dico con tutto il rispetto e la cautela, naturalmente; ma ciò che emerge è una insufficiente cultura della programmazione. E un’idea della cultura solo pensata per i bolognesi. C’è una forma di endogamia: una proposta culturale esclusivamente ad uso e consumo dei bolognesi.

Ripeto: lungi da me l’idea di muovere rimproveri a qualcuno: non è un problema di buona o cattiva volontà, ma di un orientamento complessivo del sistema locale.

Al di là delle solite, meritorie avanguardie turistiche, che pure fortunatamente non mancano, siano esse pubbliche o private. Il fatto è che Bologna stenta a proporsi come città del turismo culturale, perché, sin qui, è mancata la convinzione dell’opportunità di costruire l’offerta. Un problema delicato, complesso; ma, tuttavia, decisivo. Perché vendere soggiorno, visite, concerti, eventi, significa orientarsi verso un determinato tipo di mercato. E orientarsi verso il mercato culturale vuol dire proporre precise condizioni, tra costi e benefici. Significa essere capaci di rendere conveniente l’offerta commerciale; nel duplice senso: per il cliente e per l’operatore privato.

In riferimento alla cultura della produzione, tema cardine di questa mattina, vorrei ancora aggiungere qualcosa. Sottolineando un dato di fatto: il nostro contesto è tuttora prevalentemente orientato al consumo. Lo rivelano tutti gli indicatori. Siae, Istat, indagini dei giornali economici, "Italia Oggi" prima di Natale, il "Sole 24-0re" subito dopo Natale, ci dicono del primato della provincia di Bologna, nella comparazione con le altre 103 province italiane, in relazione alle attività culturali e del tempo libero. Il nostro contesto economico è uno dei più sviluppati in Europa, e ciò si riflette sui consumi inerenti alla qualità della vita.

A noi mancano, tuttavia, due elementi tra loro intimamente intrecciati. Da una parte, la capacità di costruire una più forte proposta di commercializzazione turistica, come già si è detto. Dall’altra, un più chiaro orientamento verso le produzioni culturali, oltre il mero consumo, profittando dei buoni standard di vita. Merita di essere meglio sviluppata la visione della nuova economia della cultura: impresa, investimenti, costruzione del prodotto, pacchetti per il soggiorno, attivazione dei mercati, quindi coalizione di sforzi, infine promozione.

Al primo posto, dev’essere la business-idea; l’idea, il progetto originale e vincente, anche nel campo della cultura.

Come si vede, l’adagio consolatorio su "opportunità" e "potenzialità", cui non corrisponderebbe la realtà, non ha molto senso. Prima viene l’intrapresa, ed è questa che concorre a determinare la realtà di cui stiamo parlando. Quindi una promozione, connessa al nuovo protagonismo dei territori, che ormai tendono a proporsi autonomamente sul mercato, anche internazionale, pur appoggiandosi alle strutture italiane all’estero, siano esse quelle offerte dagli Istituti Italiani di Cultura, dalla rete degli Enit, dalle nostre Ambasciate, dai Consolati o dal tam-tam delle comunità degli italiani all’estero.

Come ha spiegato Guido Martinotti in un suo libro (Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Bologna, Il Mulino, 1993), il nuovo protagonismo delle città e dei territori sta nell’affrontare l’internazionalizzazione dei mercati con un nuovo impegno promozionale verso l’estero che oggi non necessariamente passa attraverso i tradizionali canali del sistema centrale o del governo nazionale.

Anche qui, bisogna prepararsi a sfide nuove. Ed è inutile ricordare ciò che tutti più o meno sanno. Siamo in presenza di un turismo mondiale che è in continua crescita: dall’inizio degli anni Sessanta ad oggi i flussi internazionali sono aumentati otto volte. Gli esperti ci dicono che nel 2020 il turismo sarà la più grande industria mondiale. E continua, specie nei paesi più sviluppati, una radicale trasformazione, tra denatalità, invecchiamento della popolazione, nuovi stili di vita, e quella "lunga marcia del tempo libero", sulla quale richiama da tempo la nostra attenzione il presidente del Touring Club Giancarlo Lunati.

Il mercato italiano delle visite ai beni culturali ed ai luoghi di interesse storico-artistico, nel decennio che abbiamo alle spalle, ha registrato il tasso di crescita più elevato. Le presenze alberghiere sono aumentate del 17% nelle città d’arte, dell’11% nelle località di mare e del 10% in quelle di montagna.

Se poi guardiamo alla nostra regione, scopriamo che la percentuale del patrimonio museale e dei beni culturali, laici e religiosi, sul totale nazionale, è seconda solo alla Toscana (che è prima nel prodotto turistico culturale, mentre noi siamo ben lontani dalle prime posizioni). Scopriamo che, nell’anno ’96, il numero dei visitatori, paganti e non, nei principali musei della regione, è stato di 1.138.428 presenze. La sola città di Ravenna, con i suoi 501.464 visitatori, si posiziona come prima città della regione accogliendo il 44% dell’intera domanda culturale dell’Emilia-Romagna, mentre Parma (con i suoi 192.503 visitatori) esprime un valore percentuale pari al 16,9%.

Ecco, a Bologna, per certi versi, manca la visione della propria identità: nel campo della cultura, oggi, un distretto di interconnessioni che vanno dalla comunicazione all’intrattenimento, dalle attività del tempo libero all’industria culturale in senso classico. Dams, Cineteca, scuola di giornalismo, massima diffusione delle attività del tempo libero, case editrici, da Zanichelli al Mulino, sistema bibliotecario, rete museale, attività teatrali e musicali. E Nomisma, Prometeia, Cattaneo, Unioncamere. Ma anche Iperbole e Cineca.

Quella del "distretto" è una parola chiave. Lo è almeno due volte. Distretto delle attività culturali e delle produzioni immateriali. Cioè protagonismo del territorio, della rete degli enti locali, con una programmazione pluralistica di luoghi e di proposte e una sperimentazione avanzata di relazioni tra economia e cultura. Ed è quello che in questi anni, per parte nostra, abbiamo cercato di esprimere con "Invito in Provincia".

Ma distretto anche nel senso del nuovo turismo culturale. Non a caso qualche anno fa tentammo, insieme a Mecenate ‘90, di avviare l’idea di un patto di coalizione per un "distretto del divertimento", in quel caso sino a coinvolgere, oltre a quella di Bologna, le province di Forlì, Ferrara e Rimini, in un sistema volto a raccogliere in sé un ampio spettro di attività e di servizi, aventi come comune denominatore la gestione del "tempo del non lavoro".

Un settore, questo, in cui Bologna può valorizzare la sua storica vocazione come porta d’accesso al contesto policentrico regionale. Grazie alla prossimità territoriale, siamo una specie di città-regione, una rete di città-capitali storiche. Una coalizione territoriale, che sola può tentare di modificare la situazione attuale che vede un incontrastato primato del "turisdotto". Come spiega il quarto e ultimo rapporto dell’Osservatorio Turistico Regionale (Turismi in Emilia-Romagna. Dalla riqualificazione della costa romagnola alla valorizzazione delle città d’arte, a cura di Claudio Pasini, Milano, Franco Angeli, 2000): nessuna delle città emiliano-romagnole ha le potenzialità per proporsi autonomamente sul mercato internazionale. Città quali Bologna, Ferrara, Parma, Ravenna, Modena, da una parte godono di una loro autonoma riconoscibilità turistica; dall’altra esprimono una funzione di "eccellente seconda posizione" rispetto alle punte più avanzate.

Concludo. Cercando di mettere in evidenza i seguenti punti. Primo. Il contesto produttivo bolognese in campo turistico deve sapere che non può più adagiarsi sul consolidato sin qui garantito dal circuito fieristico e dagli alti consumi culturali.

Secondo: dobbiamo prendere atto che il turismo culturale deve svilupparsi in modo fattivo. Qui è un carattere della nostra identità, tra cultura del fare e fare della cultura, in un intreccio di scambi e relazioni, tra tradizione e promozione del nuovo. Per conquistare uno spazio accanto a tre prodotti già molto maturi, come il sistema fieristico bolognese, la realtà regionale del balneare, il primato storico del "turisdotto" Firenze-Venezia-Roma. Una questione che riscontriamo anche nelle esigenze di sviluppo del prodotto Caer (Città d’arte Emilia-Romagna), in relazione al ruolo di Bologna come perno del sistema regionale. Terzo: se ciò che viene soprattutto apprezzato all’estero dell’Italia è nell’intreccio tra cultura e prodotti tipici, Bologna deve sempre più proporsi come un prodotto italiano di eccellenza, da questo specifico punto di vista, promuovendo, insieme, la sua vocazione culturale e la sua tradizione enogastronomica. E puntando decisamente sulla qualità.

Quarto (e infine): bisogna sapere che la scommessa di Bologna 2000 è la scommessa di "Bologna città d’arte e di cultura" e che tale scommessa impegna tutti, in questo e nei prossimi anni. È la scommessa dell’intelligenza necessaria per determinare il passaggio dal locale (di una nuova produzione culturale) al globale (della commercializzazione turistica).

Questo mio contributo evidentemente, come si è capito, cerca di sfuggire alla rituale logica dell’autocompiacimento degli amministratori locali e, sulla base dell’esperienza vissuta, si sforza piuttosto di mettere in luce alcune questioni reali.

Su questo e su altro saranno utili le considerazioni e gli spunti dei relatori di questa mattina, ma, insieme ad essi, anche le nuove consapevolezze che il nostro contesto culturale potrà maturare proprio nel corso della programmazione di Bologna 2000, a cui questo convegno, opportunamente, peraltro, si ispira.